di
Dott.ssa Maria Mastrorilli, Educatrice professionale socio-pedagogica
La violenza a cui i minori assistono tra le mura domestiche, continua a non essere considerata nella sua completa accezione. Frequentemente minimizzata, la violenza assistita si configura attraverso l’esperire nella quotidianità qualsiasi forma di maltrattamento perpetrata a danno di una figura di riferimento affettivamente significativa per il bambino. Il bambino coinvolto in questa spirale perversa, si trova a dover essere presente al reiterato svolgimento di episodi di violenza fisica, verbale, psicologica, sessuale perpetrata contro uno o più componenti della famiglia. Nello scenario coercitivo, i protagonisti sono generalmente due figure adulte: la madre vittima di violenza ed il coniuge o un partner aggressivo. I genitori sono i primi a sottovalutare i danni delle sopraffazioni a cui la prole assiste. Nei bambini si rimarcano progressivamente vissuti di impotenza e l’incapacità, propria della fase evolutiva, di comprendere i termini degli agiti adulti. Il senso di colpa li spinge a pensare di essere parte in causa del problema, non riescono a distinguere o comunque a cogliere le reali cause che fanno scaturire il litigio. Solitamente assumono atteggiamenti volti a tutelare e mantenere integre entrambe le figure genitoriali. Fra le mura domestiche questi bimbi sono molto taciturni, soprattutto in presenza della figura maltrattante: cercano di evitare di assumere qualsiasi atteggiamento che possa dar vita ad una lite. Durante i percorsi di crescita, l’infanzia sopraffatta da questa forma di crudele sofferenza, interiorizza un modello educativo permeato da stereotipi di genere, coltivando nel tempo e progressivamente la svalutazione della figura materna e il disprezzo verso le figure femminili o verso le persone percepite come più deboli. Studiando questa tipologia di afflizione infantile si rileva con ciclicità che, dopo la separazione dei genitori, nella prole, specialmente se in fase adolescenziale, aumentano i comportamenti violenti verso madre e fratelli. Compaiono disturbi dello sviluppo a livello emotivo e comportamentale come esiti dell’assimiliazione dei modelli trasmessi.
La mancanza di cure attente, proprie del nutrimento fisico e affettivo, non permette al bambino di sviluppare una base sicura (J. Bowlby) tanto da non sapere, in quanto per lui non esperibile, che gli altri lo aiuteranno quando ne avrà bisogno svilendo la fiducia in se stesso e nelle figure adulte ed in futuro nella società.
Contrastare l’autoreferenzialità adulta nei contesti preventivi, clinici, educativi e giuridici, costituisce la premessa fondamentale per chi si impegna e si pone in un’ottica di protezione e di cura dell’infanzia. Questo concetto include l’intero sistema sociale e culturale che è responsabile di ciò che sta accadendo, sempre con maggior frequenza, nei confronti di chi attraversa le fasi di sviluppo. Altra punteggiatura fondamentale: la famiglia non è a sua volta tutelata dalla violenza che ha oramai permeato parecchie mura domestiche fino a capovolgere interamente gli schemi attraverso un modello culturale “atipico” oramai destrutturato, svilito, limitante e irrispettoso. In ambito di violenza, un altro elemento che ancora persiste nell’attuale prototipo culturale nei confronti dell’infanzia, riguarda l’ostinarsi nel dar priorità e, frequentemente, esclusività ai percorsi di ascolto dell’adulto offrendogli un credito quasi illimitato. Il bambino è lontano dall’aver la possibilità di giovarsi del proprio diritto di essere ascoltato e creduto; molto importante è a tal proposito il ruolo degli Operatori sociali nei confronti di donne e bambini che ogni giorno subiscono violenze. Cosa dovrebbe fare quindi un Operatore sociale? Rafforzare la consapevolezza. Ciò consente alle donne di rendersi più consapevoli del problema e di non sottovalutare la portata della violenza e i propri diritti. Gli operatori (in particolare lo Psicologo e l’Assistente sociale) possono aiutare la vittima a decidere se effettuare una denuncia e presentare un’istanza di protezione al giudice. Questa fase è molto delicata perché spesso è accompagnata da atteggiamenti ambivalenti, che oscillano tra l’esigenza di proteggersi e la volontà di tornare dal familiare violento, sperando che cambi. Accompagnare la persona nel percorso di denuncia. L’operatore affianca la persona con colloqui di sostegno; quindi accompagna la vittima agli uffici della questura e la affianca nelle fasi d’indagine. Progettazione del percorso successivo. Una volta che la vittima è in una condizione di sicurezza, l’operatore inizia a predisporre insieme a lei le condizioni per un progetto di cambiamento della sua situazione e di raggiungimento progressivo di una condizione di autonomia. La necessità di reperire risposte anche in situazioni di urgenza che coinvolgono le donne e i loro figli in situazioni di violenza e maltrattamento ha indotto sia i servizi sociali pubblici che le associazioni di volontariato a organizzare piccole strutture di pronto intervento. Le stesse associazioni, sia di tipo religioso sia di tipo laico, hanno dato vita a forme di aiuto diverse ma complementari: dai centri di ascolto come Telefono Rosa, linea telefonica ormai attiva su tutto il territorio nazionale che offre consulenza e orientamento alle donne che segnalano la propria condizione di donne maltrattate, a strutture di accoglienza vere e proprie. Tali strutture sono generalmente piccole comunità che accolgono 4/5 donne con i figli, o miniappartamenti in cui la donna può essere ospitata con i suoi bambini ed essere accompagnata, in parallelo, con interventi di sostegno non residenziali, ad esempio colloqui individuali e/o incontri di gruppo con altre persone che vivono una situazione analoga. Le diverse forme di accoglienza sono per lo più organizzate e gestite da cooperative sociali o da associazioni convenzionate con gli enti locali. L’accesso a tali strutture in genere è mediato dall’intervento dell’Assistente sociale, che elabora assieme alla donna il progetto di accoglienza. Tale progetto ha la finalità di raggiungere l’autonomia sociale ed economica; spesso si prevedono l’accompagnamento nella ricerca di un lavoro o nella scelta di un percorso formativo professionalizzante; un sostegno psicologico, ecc. Molto importante è anche il ruolo dell’Educatore professionale socio-pedagogico: gli educatori hanno infatti un ruolo molto importante nell’intenso percorso di aiuto e sostegno alle vittime di maltrattamento. L’educatore deve saper sciogliere i diversi nodi problematici connessi al complesso ascolto del minore/donna che subisce violenza e identificare gli strumenti sia personali che istituzionali che chi svolge un lavoro educativo può mettere in campo. L’educatore si cimenta nella difficile impresa di “curare” il minore o la donna che vivono situazioni di maltrattamento, offrendogli quindi sostegno e vicinanza. È fondamentale dunque:
- Condurre i colloqui in un adeguato contesto che garantisca serenità e protezione.
- Con tecniche non induttive o suggestive.
- Preoccuparsi della salute psichica del bambino e della mamma e del grado di elaborazione del trauma.
- Rispettare i tempi necessari all’elaborazione di tali esperienze drammatiche anche se possono risultare talora molto lunghi.
Ogni bambino assieme alla propria madre deve poter vivere serenamente, deve liberarsi dal terrore di continui abusi e maltrattamenti, deve poter contare su qualcuno che crede in lui e che non neghi mai il suo diritto di ESSERE BAMBINO.
AUTORE
Dott.ssa Maria Mastrorilli, Educatrice professionale socio-pedagogica
Bibliografia e Webgrafia:
Bowlby J., “Una base sicura; applicazioni cliniche della teoria dell’attaccamento”, Raffaello Cortina Ed. 1989.
Luberti R., Pedrocco Biancardi M. T., “La violenza assistita intrafamiliare”, Franco Angeli, Milano, 2005.
Malacrea M., “Il buon trattamento: un’alternativa multiforme al maltrattamento infantile”, in “Cittadini in crescita”. [rivista del Centro Nazionale per l’Infanzia e l’Adolescenza, n.1/2004].
Ricci M., “Bambini invisibili. La violenza assistita intrafamiliare”, in http://www.movimentoinfanzia.it/bambini-invisibili-la-violenza-assistita-intrafamiliare-2/, consultato in data 12/02/2018.
Saccani R., “Un educatore professionale per minori in stato di disagio”, in http://www.accaparlante.it/articolo/un-educatore-professionale-minori-situazione-di-disagio, consultato in data 12/02/2018.
http://www.lavorosociale.com/archivio/n/articolo/aiutare-chi-e-vittima-di-violenza-familiare, consultato in data 12/02/2018.
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