Vi presento la mia newsletter educata

Da qualche mese ho attivato la mia nuova newsletter dove faccio un breve riassunto dei contenuti (video, podcast,articoli…) del blog pubblicati ma sopratutto cerco di descrivere il mio percorso professionale da libera professionista o meglio di inizio della stessa.

Questa newsletter si chiama newsletter educata in quanto vuole richiamare il senso pedagogico intrinseco della stessa. Insomma non è la solita newsletter giornaliera o settimanale che intasa la vostra posta elettronica. E’ una newsletter mensile e periodica volta proprio alla costruzione e al “tirare le fila” del mio percorso e dei contenuti online.

Tramite Substack , un tool legato alle newsletter ho iniziato questa mia newsletter e spero vi possa interessare.

Se non siete ancora iscritti vi invito ad iscrivervi e mandarmi qualche feedback.

Vi ringrazio per seguirmi

Il Giardino Della Pedagogia

Maria Sara Dellavalle

Dipendenza Affettiva: si può morire per amore?

 

di

Maria Mastrorilli, collaboratrice del blog (articoli e social)

 

 

L’amore nelle sue diverse forme di attaccamento e nelle sue manifestazioni più positive e più sane, rappresenta un naturale e profondo bisogno di ogni essere umano. Quando un rapporto affettivo diventa un “legame che stringe” o ancor peggio “dolorosa ossessione” in sui si altera quel processo di “dare” e “ricevere”, l’amore può trasformarsi in un’abitudine a soffrire fino a divenire una vera e propria “dipendenza affettiva”, un disagio psicologico che è in grado di vivere nascosto nell’ombra anche per l’intera vita di una persona, ponendosi tuttavia come la radice di un costante dolore e alimentando spesso altre gravi problematiche psicologiche, fisiche e relazionali. La DIPENDENZA AFFETTIVA (DA)è una modalità patologica di vivere la relazione, in cui la persona dipendente arriva a negare i propri bisogni ed a rinunciare al proprio spazio vitale pur di non perdere il partner, considerandolo unica e sola fonte di gratificazione nonché fondamentale fonte di “amore” e cura. Il punto tuttavia è che spesso questi partner non sono affatto gratificanti ma, al contrario, si tratta di persone con le quali si instaura una relazione insoddisfacente, infelice e dolorosa. Il dipendente affettivo infatti prova un tale bisogno, assoluto e ossessivo, di rassicurazione e di certezze da indurre una sorta di “perdita dell’Io” ed una condizione in cui l’altro rappresenta il solo elemento di ebbrezza e di gratificazione possibile. La DA fa parte delle cosiddette “New Addictions”, quelle forme di DIPENDENZE COMPORTAMENTALI,poiché non vedono coinvolta alcuna sostanza chimica (come alcol o sostanze di abuso): l’oggetto di queste dipendenze infatti è un comportamento (o una persona nel caso della DA) o un’attività lecita e socialmente accettata. La DA (Love Addiction) sembra una patologia declinata soprattutto al femminile e coinvolgente maggiormente le donne: il 99% dei soggetti dipendenti affettivi è di sesso femminile, con fascia di età variabile dalla post-adolescenza (età dai 20 ai 27) fino all’età adulta delle donne con figli. Nonostante la diversità di età, alcuni specifici elementi accomunano tutte queste donne: si tratta di donne fragili; bisognose di conferme;con una scarsa autostima;terrorizzate dal fantasma dell’abbandono; tendenti alla iperresponsabilizzazione; provenienti da famiglie problematiche(abusi sessuali, maltrattamenti fisici o psicologici, storia di alcolismo, bulimia o altre dipendenze nei genitori) nelle quali sono cresciute sviluppando un profondo e radicato vissuto di inadeguatezza ed indegnità personale. La DA si accompagna frequentemente ad altre condizioni di sofferenza psicologica: Disturbo Post-Traumatico da Stress conseguente ad abusi sessuali con manifestazioni quali incubi notturni, attacchi di panico, sintomi dissociativi, perdita di concentrazione e vuoti di memoria, distimia. Altre forme di dipendenza: ad esempio quella da cibo, sesso, gioco d’azzardo, sostanze o attività fisica; Disturbo Ossessivo Compulsivo; disturbi d’ansia. È possibile uscire dalla dipendenza affettiva, ma per farlo occorre andare alla scoperta di sé stessi, della propria identità e dei propri bisogni. Occorre imparare ad amarsi, e costruire una propria dimensione individuale ben distinta da quella dell’altro. Questa è la base imprescindibile per stare bene con sé e con gli altri, e per poter costruire un rapporto di coppia sano e basato sull’uguaglianza. È infatti illusorio pensare di poter trovare all’esterno quello che ci manca!. Il dipendente affettivocerca con ostinazione amore dagli altri, ma questa spirale di sofferenza può finalmente essere spezzata cercando innanzitutto la propria identità, per non rischiare di fondersi con l’altro e di perdersi definitivamente. L’amore sano è tra due persone, tra due cuori che crescono assieme e danno ognuno un proprio contributo al rapporto!. Nella dipendenza invece ci sono due individui che in realtà finiscono per fondersi e uno dei due per scomparire, come se non avesse diritto di esistere. Questo tipo di amore non può funzionare ma genera solo grande sofferenza!. È consigliabile ricorrere all’aiuto di un professionistache ci possa lentamente e delicatamente accompagnare lungo questo percorso di conoscenza e cambiamento radicale.

Dott.ssa Maria Mastrorilli, Educatrice professionale socio-pedagogica

BIBLIOGRAFIA E WEBGRAFIA:

“La dipendenza affettiva. Ma si può morire anche d’amore?”Cesare Guerreschi. Franco Angeli. 2011.

Dott.ssa Annalisa Barbier “La dipendenza affettiva: sintomi, origine e trattamento” https://www.psicoterapiapersona.it/dipendenza-affettiva/consultato in data 09/08/2018

Dott.ssa Monia Ferretti “Amore e dipendenza affettiva: come riconoscerla e superarla”http://www.eticamente.net/46025/dipendenza-affettiva-come-uscirne.htmlconsultato in data 09/08/2018

La scrittura terapeutica

 

Propongo il penultimo articolo prima delle festività del concorso “Blogger Per Un Giorno” relativo alla scrittura come  terapia della dot.sa Sonia Scarpante

 

 

Ho imparato in questi anni, attraverso la scrittura, ad affrontare me stessa.
La scrittura mi ha salvata come uso dire durante i Convegni in cui sono invitata ad intervenire come testimone e docente di corsi di scrittura terapeutica.

Perché parlo di Scrittura terapeutica? Quali motivazioni mi spingono a farlo?

Parlo di scrittura terapeutica perché il mio inizio di vita nuova, parte proprio dalla mia autobiografia “Lettere ad un interlocutore reale“. Il mio senso , attraverso cui ho imparato molte cose della vita.

Che cosa mi ha insegnato quel viaggio autobiografico?

Che la scrittura è veramente un mezzo potente, un aiuto fondamentale per chi è alla ricerca di un miglior equilibrio interiore.

La chiamo terapeutica perché attraverso il lavorio continuo di una scrittura salvifica, si evince quanto essa ci possa aiutare nell’elaborare anche la sofferenza più acuta, a superare traumi di cui molti di noi portano sul proprio corpo stigmate evidenti, a sciogliere nodi, a risolvere fragilità affettive. A vincere vecchi sensi di colpa.

Grazie alla scrittura ho imparato a confrontarmi con la faccia poliedrica di ciò che ognuno di noi chiama il suo “me stesso”; ho imparato a recuperare un mio senso; ho imparato a vedere nelle mie emozioni dando loro parola. Senza temere.

La scrittura terapeutica, intesa come ricerca individuale e pratica, incrementa le forze legate all’interiorità e in tal senso migliora la qualità della nostra vita.

Ancora, la scrittura terapeutica può essere considerata uno degli strumenti conoscitivi, non ultimo e nemmeno risolutivo, ma confacente al soggetto che ad essa si rivolge per attingere e imparare a sostenersi.

Nel lavoro prima individuale e poi collettivo, che la scrittura può sviluppare, matura una predisposizione più marcata verso chi sta raccontando di sé, un’attenzione più sentita, un senso nuovo della vita altrui e della nostra dove la fiducia diviene elemento dominante, amalgama di sostanziale forza che aiuta a stemperare le complesse vicissitudini dei vissuti.

La scrittura come analisi del sé nasce quindi da un mio primo lavoro autobiografico pubblicato nel 2003; lavoro faticoso ed alquanto efficace dove la scrittura compulsiva dettava le sue regole in un ritmo incalzante dove la penna era mal sincronizzata sui tempi della mente. Quella scrittura iniziale ha stimolato l’auto-analisi da cui sono affiorate riflessioni di grande interesse cognitivo-emotivo.

Attraverso la narrazione autobiografica ho imparato a svelare me stessa nelle diverse sfaccettature che mi compongono, ho imparato a sanare le relazioni affettive, a sciogliere pericolosi nodi esistenziali, a dare voce e a risolvere anche sensi di colpa, a riconciliarmi con quegli eventi difficili che nella mia vita si erano assopiti e depositati nei meandri della memoria.

In questo lavoro di scavo sono essenziali due peculiarità, che unite insieme ci saranno di aiuto per imparare ad elaborare e discernere; per questo tragitto della conoscenza bisogna nutrirsi di coraggio nel rivedere e nell’analizzare se stessi e di fiducia in ciò che andiamo a costruire.

La scrittura terapeutica è un viaggio introspettivo forte e impegnativo in grado di offrire nuove possibilità per ascoltarsi e conoscersi meglio, un viaggio che ci porta su strade nuove e opportunità inimmaginabili.

Durante questo tragitto introspettivo si impara a parlare di emozioni e sentimenti senza sentirsi giudicati, a riconoscere nella storia dell’altro analogie con la propria, a condividere una sofferenza e a diventarne più consapevoli. La possibilità di scrivere su di sé e rivedersi da prospettive differenti anche grazie allo scambio degli altri partecipanti e ai rimandi del conduttore sfocia in una sensazione di benessere psicofisico che risveglia risorse personali fino a prima dimenticate o nascoste.

Il percorso con la scrittura terapeutica finalizzato ad un percorso di crescita personale e di autodeterminazione prende vita all’interno di un gruppo, in cui ogni partecipante invitato a scrivere di volta in volta lettere, tra le quali la prima è indirizzata a se stessi (metodologia pratica che fa riferimento al testo: Parole evolute. Esperienze e tecniche di scrittura terapeutica. Edi Science).

Seguono poi lettere intitolate ai nostri interlocutori e a familiari, nonché lettere incentrate su emozioni e paure o su altre situazioni specifiche con cui ci troviamo spesso a fare i conti.

Il primo importantissimo passo da fare è accettare se stessi, perdonarsi e amarsi. In questa chiave, la scrittura terapeutica è una disciplina introspettiva tendente all’autocura per quella componente di antidepressione ed antistress che contiene.

Tale metodo di scrittura in campo medico viene definito come “terapia coadiuvante” da prescrivere accanto a quella farmacologica per il valido aiuto psicologico che fornisce al paziente. Il termine stesso di “medicina narrativa” della parola scritta come farmaco utile, della scrittura come cura, trova sempre più ampia diffusione in quanto materia di confronto ed incontro tra saperi e competenze convergenti sul soggetto.

I benefici individuali dati da questo “operare con la scrittura” compiuti singolarmente hanno una felice corrispondenza nella condivisione collettiva della lettura: qui i racconti sono liberi da ogni pregiudizio e trovano nel senso di partecipazione e nella naturale accoglienza del gruppo, un motivo in più per rafforzare la volontà di cambiamento della persona nel suo contesto di vita.

La scrittura, dando materialità all’inesistente, quindi, permette di sentirsi e vedersi attori di un’altra realtà.
Da qui l’importanza psicologica che la scrittura riveste nel nostro modo di prefigurare il cambiamento, di darci una nuova immagine di noi stessi, di prevedere per noi un “io autentico”, tutto da scoprire e da ricostruire.

Possiamo affermare che la scrittura rappresenti una forma di emancipazione, un serio contributo per costruire un domani di persone più appagate e consapevoli.

Può la Scrittura Terapeutica svilupparsi in Scrittura performativa? Perché possa avvenire questa evoluzione quali aspetti non devono essere tralasciati?

Il lavoro di scavo nelle memorie genitoriali ad esempio è di fondamentale importanza, il tema della casa della propria identità, il legame con i figli, con il proprio compagno, scavare all’interno dei propri sogni ma anche e soprattutto delle proprie resistenze, delle fatiche che si manifestano in stili ripetitivi, ma anche scritture che ci permettano di sviluppare una certa analisi di sé attraverso libere associazioni identificandosi in un elemento naturale, in un oggetto, o in un viaggio. Tutto questo fa sì che la scrittura da terapeutica possa trasformarsi in performativa…

Come scrivo nel mio testo Parole evolute. Esperienze e tecniche di scrittura terapeutica…

So quanto la riflessione scritta su questa tematica possa costare in termini emotivi e di introspezione, ma conosco bene, per averli vissuti in prima persona, anche i benefici cui permette di arrivare, una volta trovato il coraggio di affondare il bisturi nella ferita e di cauterizzarla con l’aiuto della parola scritta…

Volantino Ufficiale clicca qui sotto!

VOLANTINO LA CURA DI SE A5 (3)

Sonia Scarpante, scrittrice e docente di corsi di scrittura terapeutica

Email: scarpante.sonia@gmail.com

Website: www.lacuradise.it

CRAZY FOR FOOTBALL di Volfango De Biasi Recensione film Antonella Montesi

di Antonella Montesi

SKYDANCERS e RAICINEMA

presentano

 

CRAZY FOR FOOTBALL

di Volfango De Biasi

 

una distribuzione

Luce Cinecittà

 

Uscita evento: 20 febbraio 2017

In programmazione dal 23 febbraio 2017

 

 

Un gruppo di pazienti, alcuni molto giovani, che arrivano dai dipartimenti di salute mentale di tutta Italia.

Uno psichiatra, Santo Rullo, come direttore sportivo.

Un ex giocatore di calcio a 5, Enrico Zanchini, per allenatore.

Un campione del mondo di pugilato, Vincenzo Cantatore, a fare da preparatore atletico.

Sono questi i protagonisti di Crazy for Football, il docufilm sulla prima nazionale italiana di “calcetto” che concorre ai mondiali per pazienti psichiatrici a Osaka.

Un viaggio dall’Italia al Giappone.

Si comincia con le prove di selezione per definire la rosa dei 12 che poi parteciperanno al ritiro, approdando finalmente al torneo più ambito, i campionati mondiali.

Ma a fare da filo conduttore un altro viaggio, più profondo, attraverso le rapide della coscienza di chi ha conosciuto lo smarrimento della malattia psichiatrica.

Un percorso in bilico fra sanità e follia che appartiene a tutti noi.

Un film dove i protagonisti sono i giocatori e non la loro malattia, con l’intenzione di combattere i pregiudizi che circondano chi soffre di disagio mentale. Il movimento come antidoto alla staticità, il calcio quindi come terapia salvifica, come condizione che fa sentire tutti uguali.

 

“Ho scelto di fare questo film perché per me rappresenta un impegno umano, civile e personale. Desidero affrontare insieme ai protagonisti, proprio come una squadra e con leggerezza, un tema che reputo importante: l’idea che il calcio possa guarire e a volte persino salvare la vita, restituire la speranza e la voglia di sognare”.

Una storia che vuole essere raccontata col carattere leggero e buffo delle storie di sport e commedia. Perché non è affatto detto che per fare sociale si debba mettere in mostra unicamente il tragico e rimestare nel senso di colpa collettivo. La coscienza del sociale può anche attivarsi aiutando ad aprire gli occhi su qualcosa che si conosce poco, e facendolo anche attraverso il sorriso. E perché no, tifando per i nostri eroi, matti per il calcio, impegnati in una magnifica avventura di sport.

Volfango De Biasi, regista

 

L’incontro sul campo di gioco garantisce un riavvicinamento tra il paziente e il suo quartiere, abbattendo le differenze tra i ‘sani’ e i ‘malati’. E, al contempo, il campo di calcio diventa il luogo in cui il paziente compie il primo passo nel ricominciare a vivere con gli altri. Persone che in qualche modo hanno smesso di rispettare le regole fuori dal campo, riescono però con facilità a seguire e accettare le regole del calcio, e questo apre spesso la strada a un completo recupero sociale. Vedremo accadere miracoli: persone che hanno la fobia del contatto con gli altri che si sciolgono nell’abbraccio dei compagni. Possiamo tutti vivere un momento di difficoltà profonda che fa perdere l’orientamento dei nostri comportamenti e delle nostre emozioni. Abbiamo il dovere di dire a tutti che, nel momento in cui arriva la difficoltà, è importante continuare a coltivare le nostre passioni – andare al cinema, fare sport – tutte cose che proteggono la nostra salute mentale, perché nel momento in cui le interrompiamo ci isoliamo dal mondo e questo diventa pericoloso”.

Santo Rullo, Presidente dell’Associazione Italiana di Psichiatria Sociale

 

“Anche se lo psichiatra Santo Rullo mi diceva che siamo tutti un po’ matti, che a tanti di noi, considerati “normali”, in realtà manca solo una diagnosi scritta su un certificato, anche se mi parlava di questo “stigma” e di come vada combattuto, io mi aspettavo difficoltà superiori e diverse rispetto a quelle di una squadra e di uno spogliatoio composto da persone “sane”.

E’ qui che mi sbagliavo ed è qui che ora rischio di diventare retorico: ovviamente “sbrocchi” e sceneggiate ce ne sono stati, ma non superiori e non troppo diversi dai tanti che ho visto in tanti anni come giocatore, allenatore e dirigente.

Ho però trovato una determinazione, una disponibilità al sacrificio e all’apprendimento, una fame di campo e di affermazione che solo le squadre vere hanno, quelle che prima o poi ottengono i risultati, e vincono. E noi abbiamo vinto perché, tra mille difficoltà e in pochissimo tempo, siamo riusciti ad avere le due caratteristiche fondamentali per ogni squadra del mondo, almeno secondo il mio modesto parere: essere un gruppo e avere un’identità di gioco.

E’ per questo, oltre che per tutto ciò che mi hanno regalato a livello emotivo, che non ringrazierò mai abbastanza i “miei” ragazzi”.

Enrico Zanchini, allenatore

 

Li ho visti arrivare a Roma con patologie diverse, ragazzi insicuri che non credevano in se stessi, con scheletri chiusi nelle loro teste, paurosi di affrontare la vita. Grazie a questa esperienza tutti sono cambiati, hanno riacquistato la voglia di mettersi in gioco e di sfidare. Ora non sono più secondi a nessuno, non sono l’emarginazione di nessun tipo di società”.

Vincenzo Cantatore, preparatore atletico  ex campione del mondo di pugilato

 

 

Il film esordirà nei cinema con un’uscita evento il 20 febbraio 2017 e sarà poi in programmazione dal 23 febbraio nelle principali città italiane.

Considerata la giovane età di molti dei suoi protagonisti e il suo altissimo valore umano, civile ed educativo “Crazy for football”,  film riconosciuto di interesse culturale dal Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo – Direzione generale cinema e che ha il patrocinio della Federazione Italiana Giuoco Calcio, sarà disponibile anche per le scuole di tutta Italia dal 23 febbraio fino al termine dell’anno scolastico, con prenotazioni possibili sin d’ora.

I ragazzi saranno conquistati dai protagonisti che provano, come tantissimi di loro, una grande passione per il calcio. Li sentiranno vicini per le storie di vita narrate e avranno l’opportunità di interrogarsi su fragilità e sfide che spesso toccano anche la loro adolescenza, in una prospettiva di speranza, impegno, solidarietà, consapevolezza che vie di soluzione e guarigione possono essere trovate.

 

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Il regista Volgango De Biasi racconta una scena di “Crazy for football”

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Speciale di Repubblica: “Il calcio è roba da matti: alla Festa di Roma una storia di coraggio e follia”

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Per info e prenotazioni di matinées nei cinema con biglietto ridotto per gli studenti:

 

Antonella Montesi

349/77.67.796

(dalle 15.00 alle 19.00)

antonella.montesi@yahoo.it